Frequento la metropolitana da quando non mi hanno rinnovato la patente: sciancata, la mia etichetta.
Certo il vocabolo utilizzato dalla commissione medica fu differente, ma non abbastanza da consentirmi
di digerire la situazione; la sottigliezza dei termini medici rende in modo spietato la realtà dei fatti.
Da allora cominciai a conoscere i corridoi e i sotterranei della stazione Termini; dedalo variegato di
luci multicolori e di persone dalle mille storie diverse che si rispecchiano nell'aspetto cosmopolita
del loro essere, dell'apparire simultaneamente lontani e vicini, esotici eppure così comuni.
Ho studiato il percorso più breve per raggiungere la Metro B quando scendo dal treno dei pendolari
ma, nonostante ciò, sono sempre in ritardo. Mi piace muovermi nel flusso della folla; protetta
dalle schiene degli altri mi confondo sfruttando la mia normale banalità: una donna grigia d'inverno
e bianca d'estate. Ho imparato a lasciarmi colpire gli occhi e l'immaginazione, le orecchie e il metronomo
interno, l'olfatto e il disagio nascente. Il tranquillo tran tran quotidiano è fatto di accorta
attenzione al vicino di posto; nel confronto con gli altri, con chi mi circonda, mi accorgo di aver tutto
da perdere e spingo il mio aspetto verso il mimetismo assoluto. È novembre, il mese perfetto per
stringersi accanto a chi ami; il Natale è presente nelle vetrine e nella speranza di chi allunga la
mano per suscitare compassione. I boeri acquistano un senso, chiusi nell'involucro scintillante, richiamano
i viaggiatori dall'interno del chiosco sfruttando l'aroma, spandendo all'intorno l'odore del cioccolato e del
rum. Si respira la festa, gli ormoni della felicità aguzzano i recettori delle persone, gli animi
si dispongono alla benevolenza per il prossimo e all'altruismo; almeno fino a prova contraria costituita da
un torto subito o dalla richiesta esplicita di un aiuto. Il Natale è lontano per me, opaca impiegata
zitella. Attualmente il termine usato per descrivere la mia condizione sociale è single, però
a me non piace perchè rimanda l'immagine di una persona furba, ricca e alla moda. La parola zitella,
invece, spiega esattamente ciò che sono: una donna di mezza età rimasta sola non per scelta
propria, ma per altrui indecisione. Lavoro, è vero, impiegata alle Poste con un contratto a tempo
indeterminato, oscuro retaggio dell'epoca ministeriale. Lo stipendio mi basta appena per chiudere il ciclo
mensile; il mio Natale arriva il 20 dicembre insieme alla tredicesima mensilità. Così tiro
dritta, parallela alle vetrine addobbate attraenti e cariche di aspettativa; con chi posso festeggiare il
Natale?
Incontrai la Talpa un mattino di fine novembre; vi inciampai perchè andavo di fretta.
Come sempre ero in ritardo e speravo di guadagnare posizioni nel flusso di gente, in lotta per un posto
sulla metro, passando rasente al muro. Paragonando i movimenti della folla a un fluido che scorre, hai
due alternative se vuoi superare: passare al centro del corridoio, ma lì c'è il problema del
flusso contrario e rischi di prendere colpi da ambo le parti, oppure sfidare la sorte e transitare vicino
al muro. Anche quest'ultima opzione talvolta è una scelta infelice; rasentando il muro trovi ostacoli
al disotto del metro d'altezza come la Talpa, appunto. Alcolista, senza fissa dimora, forse anche senza
una speranza di redenzione. Indossava un cappotto di marca, non c'era dubbio sul tipo di confezionamento
sebbene, con il passare del tempo, il colore grigio originario era stato rafforzato dalla polvere e dallo
sporco fino ad assumere l'aspetto di una corazza lucida d'unto e di grasso. I capelli, se li aveva, erano
nascosti da un cappello di lana anch'esso grigio; lo zucchetto, modello marinaio, strideva con la linea del
cappotto a tal punto da attrarre l'attenzione sul personaggio. Si intuiva dalle sopracciglia nere, fini
e arcuate come quelle di donna, che doveva essere moro e abbastanza giovane; la barba azzurrina, rasata di
recente, segnava le guance e il mento conferendogli un aspetto duro e angoloso. Non aveva neanche la forza
di tenere le gambe piegate: sporgevano verso il centro del corridoio molli e rilasciate come due miseri
tronconi. Puzzava di grappa e di vomito; gli occhi, scuri e appannati, fissavano il vuoto oltre il mio corpo,
al di là delle teste della folla ignara del nostro piccolo dramma. Mi sorprese parlando con consapevole
ironia; la voce roca e impastata nella bocca arida comunicava l'essenza di una personalità non comune: -
È inutile che te scapicolli come tutte le matine, se c'hai prescia esci prima! Te conosco ormai,
te stai a sciupà la vita. Cori, cori, cori... ma ando' vai? Sta' manza, er tempo nun te lo ridà
nessuno; fermete un po' qui co' me, vedrai che te serve pe' ripijà fiducia e voija de vive.-
Lo fissai trapassandolo con sguardi duri e inflessibili, come solo una zitella sa fare. Quando una donna riesce
ad assumere certe espressioni diventa meno vulnerabile e, se sei sola, impari più in fretta oppure soccombi.
Incrociammo gli sguardi nell'eterna, atavica, cromosomica sfida tra sessi. Non so cosa lessi nelle pupille di Mario:
curiosità, ironia, comunicativa, sicurezza, vitalità, saggezza... scorsi l'energia e il calore che
mi mancavano. Mi fermai quella mattina, marinai l'ufficio senza avvertire il minimo senso di colpa.
Il Natale arrivò come di consueto, così l'anno nuovo mi consegnò un'ancora di salvezza, un piolo
tra le maglie della consuetudine, un appiglio da usare se non sei uno sbandato, se sai di avere delle solide
radici che ti impediscono di scivolare lentamente verso l'emarginazione e il declino. |
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Nel 2008 ho partecipato con il racconto LA TALPA alla terza edizione del
concorso (r)esistenza - manuale di storie contemporanee
Giurati: Pennacchi, Pavolini, Pannunzio, Croppi, Lanna, Rossi e Sciaudone.
In occasione della premiazione del 25 aprile è stata pubblicata l'antologia
Storie di (r)esistenza edita da L'argonauta in cui è incluso
il mio racconto. |